Se la sigla Eni stesse per “Ente Nazionale Intossicazioni”, e non per “Ente Nazionale Idrocarburi”, molte cose sarebbero più chiare e accettabili, alla luce del fatto che il nome già lasciava intendere. Purtroppo per loro, e per noi, non è così. L’Eni è la più grande multinazionale italiana, una partecipata statale, considerata la sesta potenza mondiale nel campo petrolifero subito dopo colossi come Shell e Total. Insomma, una fabbrica di soldi. E dove ci sono tanti soldi, immancabilmente, dietro, ci sono sempre astuzie, omicidi, libri paga e oscurità di vario tipo. Diciamo che, in questi contesti, non c’è mai del bianco puro e che nei consigli di amministrazione di queste aziende non si siede mai il signor Candido Bianco.
Eni fattura circa 170 miliardi di euro annui, soldi che vengono impiegati anche per corrompere, come è emerso da una recente inchiesta che vede indagati diversi dirigenti del cane a sei zampe. Nei fascicoli anche il nome del faccendiere Luigi Bisignani che avrebbe fatto da garante e da apri pista a questa corruzione di carattere internazionale. Questi, e non solo questi gli affaracci di Eni.
La coscienza dei trivellatori statali pare essere più nera del pelo del loro cane – mostro. Un logo che qualcosina avrebbe dovuto far presagire, viste, poi, le mostruosità perpetrata sul territorio italiano. Infatti, controllate di Eni come EniChem e Syndial, sono state portatrici di tumori in gran parte del mezzogiorno e in alcuni casi, addirittura, di malformazioni, causati dalle scorie tossiche mal smaltite e dal conseguente inquinamento ambientale.
In città come Crotone, la presenza di Eni, ha causato solo morte. Il mostro portò le sue fabbriche negli anni ’20 (Montedison), dismettendole poi verso la metà degli anni novanta. La sua presenza aumentò sì il reddito procapite, il livello socioculturale del territorio e rese la città pitagorica il primo polo industriale della Calabria, ma una volta levate le tende uscirono fuori gli inghippi.
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